ETICAPA.IT. CARLO DELL'ARINGA: LE ASPETTATIVE MANCATE DELLA CONTRATTUALIZZAZIONE DELLE RETRIBUZIONI DEI PUBBLICI DIPENDENTI
il professor Carlo Dell’Aringa non ha avuto rapporti con il tema della “contrattualizzazione” delle retribuzioni dei pubblici dipendenti che si possano definire “accademici” o “esterni”, per il motivo semplice che egli fu il primo Presidente dell’ARAN, negli anni 1995-2000: fu, quindi, fra gli attori principali dell’avvio della stagione dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel pubblico impiego, previsti dal decreto legislativo n. 29 dell’anno 1993 che, a sua volta, faceva pendant con lo storico accordo Governo-Sindacati del 23 luglio di quello stesso anno (vedi qui). La legge – ricordiamo – istituì l’Agenzia di Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni cui veniva affidato il compito di essere la “parte datoriale” nei CCNL dei pubblici dipendenti e di sovrintendere ai meccanismi di contrattazione integrativa, anche questi introdotti all’epoca nelle singole amministrazioni pubbliche, con il compito specifico previsto dalla legge di contrattare la parte di retribuzione legata alla produttività. Alla base dell’accordo di luglio e della contrattualizzazione delle retribuzioni dei pubblici stava il perseguimento di due obiettivi fondamentali: 1) la funzione di calmiere rispetto alle dinamiche inflattive; 2) il collegamento fra erogazione degli incentivi e misurazione e valutazione della produttività e della qualità delle performance delle Amministrazioni pubbliche e dei loro dipendenti.
Ebbene, oggi Carlo Dell’Aringa - nel contesto di uno studio generale coordinato insieme a Giuseppe Della Rocca (“Lavoro pubblico fuori dal tunnel?” – il Mulino 2016 - vedi) perviene alla conclusione che “la contrattazione aziendale nel pubblico impiego non abbia dato i risultati attesi “…che ” gli aumenti retributivi concessi a livello aziendale sono in larga misura di carattere fisso”….”le voci che vengono spesso ritenute variabili, di fatto non lo sono…le risorse per la contrattazione aziendale vengono spesso utilizzate per gli avanzamenti del personale nell’ambito delle carriere orizzontali“; che “nonostante le disposizioni di legge che imponevano di legare gli aumenti retributivi ai miglioramenti della prestazione, questo si è verificato ben poco e oggi l’opinione pubblica si lamenta, come un tempo, della scarsa qualità dei servizi offerti”.
Sul fallimento delle funzioni attese dalla contrattazione aziendale – falllimento legato a un rapporto distorto fra dirigenza, sindacato e politica – Dell’Aringa afferma che ” i dirigenti un pò per quieto vivere e un pò per mancanza di effettiva autonomia nei confronti sia della politica che dei sindacati, hanno privilegiato sempre criteri di eguaglianza e imparzialità, affidandosi, nella definizione dei premi a criteri….lontani dalla principi secondo cui essi vanno differenziati sulla base di a) esigenze interne di carattere organizzativo; b) performance dei singoli e dei gruppi; c) professionalità effettivamente praticata”….”il riferimento al comportamento del “privato datore di lavoro” è rimasto molto spesso sulla carta“…che “paradossalmente la cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego, realizzandosi essenzialmente attraverso la “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro, ha assegnato ai sindacati il potere e il compito di vanificare gli stessi obiettivi che i sostenitori della “privatizzazione” assegnavano alle riforme messe in campo” che, di conseguenza “la contrattazione dei criteri di valutazione si è trasformata in contrattazione dei risultati della valutazione. Ed è per questo motivo che i premi al personale sono spesso dati “a pioggia“.
Sono conclusioni radicali e impietose di un percorso più che ventennale da autentico protagonista, che – non ne dubitiamo- saranno state portate dall’Autore all’attenzione dell’attuale Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Anche perché le perplessità da lui esposte si collocano in uno scenario ultranazionale, nel quale recenti studi dell’OCSE revocano in dubbio l’efficacia dei principi del New Public Management che fu la dottrina degli anni ’80 che ispirò molti a sostenere la privatizzazione del pubblico impiego. Senza dimenticare che “dei 26 paesi più sviluppati presi in esame dal un recente studio dell’OCSE, solo per 10 (due su cinque circa), compreso il nostro, esiste l’obbligatorietà della contrattazione collettiva per determinare gli aumenti retributivi dei pubblici dipendenti. Dei rimanenti 16, 12 prevedono l’obbligo di consultazione coi sindacati, mentre 4 (tra cui gli USA) non prevedono nessun obbligo“.
Dell’Aringa, invero, sviluppa nell’articolo che sotto riproduciamo una serie di proposte per rimuovere la situazione attuale da lui definita “in mezzo al guado“: proposte incentrate essenzialmente in un rilancio della contrattazione aziendale basato sull’affidamento dei processi di valutazione alla dirigenza senza ingerenze e opposizione del sindacato, visto che è interesse del sindacato medesimo che vengano premiati “coloro che danno il buon esempio in termini di impegno e di risultati raggiunti“. Noi ci permettiamo di dubitarne fortemente, perché alla base delle distorsioni manifestatesi in tanti anni c’è una contraddizione di fondo dello status di “datore di lavoro” che caratterizza il ruolo del dirigente pubblico così come fu imposto dalle riforme degli anni ’90: si vedano in questo sito, in grande messe, i recenti contributi di Battini, Deodato e Talamo, per non parlare dei dubbi di incostituzionlità che avanzò Sabino Cassese all’epoca dell’entrata in vigore di quelle leggi – vedi qui 2002- Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani: una-modificazione-costituzionale.
Resistono in tanti quelli che fanno finta di non vedere.