MOBBING, INTERVISTA DI FICIESSE ALL’AVVOCATO DISTEFANO SULLA VICENDA LAURINO. CHIESTO UN RISARCIMENTO ALL’AMMINISTRAZIONE PER DUE MILIARDI DI VECCHIE LIRE.

domenica 30 novembre 2003

Dopo le interrogazioni parlamentari alla Camera e al Senato, il “caso Laurino” è approdato davanti al giudice amministrativo. Abbiamo appreso, infatti, dal sito internet degli organismi della giustizia amministrativa ( http://www.giustizia-amministrativa.it/WEBY2K/DettaglioRicorso.asp?val=200304316 ) che il 17 novembre scorso è stato presentato al Tar Sicilia, sezione staccata di Catania, il ricorso n. 4316/2003, ricorrente Antonio Laurino, difensore l’avvocato Santi Distefano del foro di Catania, resistenti un ufficiale della Guardia di Finanza, i Comandi della GDF di F. F. Simeto , Catania, Palermo e Roma e il Ministero dell’Economia e delle finanze. Poiché si tratta di un ricorso con richiesta di risarcimento danni, abbiamo rintracciato l’avvocato Santi DISTEFANO e gli abbiamo chiesto notizie sulla vicenda.

Pubblichiamo integralmente, di seguito, l’intervista che ne è scaturita.

 

 

INTERVISTA DI FICIESSE ALL’AVVOCATO SANTI DISTEFANO

 

Avvocato Distefano , le interrogazioni parlamentari alla Camera e al Senato sul caso del maresciallo della Guardia di finanza, Antonio Laurino, hanno suscitato molto interesse nei nostri lettori perché hanno trattato due fenomeni sui quali c’è grande sensibilità: il demansionamento e il mobbing . Ci può dare qualche informazione più precisa su quanto è accaduto?

Ad onor del vero quando il signor Laurino mi ha esposto per la prima volta il suo problema devo riconoscere che ho persino stentato a convincermi che tutto ciò potesse davvero essere accaduto.

Mi sono dovuto ricredere dopo che mi è stata fornita la documentazione attinente alle varie vicende, tutta riversata nel fascicolo del ricorso presentato l’11 novembre scorso al Tar e attraverso la quale ritengo di poter dimostrare inoppugnabilmente che quest'uomo è stato oggetto di una serie di provvedimenti ed episodi così ampia da non poter essere riassunta nel breve spazio di un'intervista, ma comunque così sintetizzabili:

·              cinque episodi fra trasferimenti d'autorità e mutamenti di incarichi in appena tre anni ivi compreso un provvedimento autoritativo risalente al febbraio 2000 di trasferimento al Comando Regionale di Palermo annullato da quest'ultimo Ente dietro apposita richiesta dell'interessato;

·              diverse drastiche ed immotivate diminuzioni del tenore delle voci analitiche delle note caratteristiche (in alcuni casi successivamente annullate in una sorta di " autotutela " da parte della stessa amministrazione), le ultime delle quali rappresentate da una scheda valutativa e da un impugnando rapporto informativo del 2003 contenenti molte voci addirittura oggettivamente offensive della sua persona, constatato che nei vari periodi di riferimento per la valutazione non risulta alcun comportamento o episodio di cui vi sia traccia documentale nel fascicolo personale che sia stato lealmente contestato dall'amministrazione, come prescrivono, senza possibilità di interpretazioni di comodo, numerose circolari del Comando Generale della Guardia di finanzaCorpo in materia, tutte puntualmente allegate al ricorso di cui si parla;

·              denuncia alla Procura Militare di Palermo per gli insussistenti reati di insubordinazione aggravata con ingiuria e disobbedienza, accusa talmente evanescente che la stessa Procura Militare (che come si sa svolge istituzionalmente il ruolo dell'accusa pubblica), ha per ben due volte chiesto l'archiviazione per entrambe le ipotesi di reato; denuncia in relazione alla quale il G.I.P. presso il Tribunale Militare di Palermo ha disposto, in data 19 marzo 2003, l'archiviazione in ordine al capo concernente il reato di insubordinazione con ingiuria (provvedimento consultabile anche su www.militari.org) sul presupposto dell'insussistenza materiale del fatto - reato addebitato, mentre in ordine all'ipotesi di reato di disobbedienza ha ritenuto di disporre l'udienza preliminare sul contestabilissimo rilievo che anche l'inottemperanza ad mero invito verbale e non un ordine intimato, come tale dichiarato dal Laurino e riconosciuto anche dall'unico testimone unico vicenda nella sua relazione di servizio, invito verbale per lo più dato anche nella forma del ""TU"" come riconosciuto dallo stesso autore della denuncia nel verbale di sommarie informazioni testimoniali avanti il PM Militare di Palermo, forma che evidentemente contrasta in modo insanabile con il modello legale dell'ordine militare penalmente sanzionabile;

·              tre sanzioni disciplinari tutte racchiuse nel breve spazio temporale di nove mesi successivo alla formalizzazione dell'informativa di reato conclusasi come si è detto, laddove nei precedenti sette anni di carriera il maresciallo Laurino non era stato sfiorato neppure da un semplice richiamo verbale;

·              costante , palese e protratto demansionamento , a motivo del quale l'Ispettore ha più volte richiesto formalmente di essere impiegato nei compiti e nelle mansioni che gli competono non per gentile concessione del Comandante di turno, ma per inderogabile ed imperativo disposto di legge (art.34 Decreto legislativo 12 maggio 1995 nr.199) che all'evidenza limita ab externo la discrezionalità dell'amministrazione militare essendo immediatamente precettiva nel suo contenuto di dettaglio, come di nuovo riconosciuto da tre circolari del Comando Generale emanate in tema ed anch'esse allegate all'atto introduttivo del giudizio; addirittura l'ultima sanzione, impugnata con il ricorso 4316 / 2003, è originata anche da una serie di eventi scaturiti proprio da una delle richieste di impiego invano formulate dal Laurino.

Questi, come ho detto, sono solo gli episodi più salienti . La gravità degli stessi, sia singolarmente considerati ma ancor di più nel complessivo quadro d'insieme, la costanza e sistematicità che oggettivamente li caratterizza all'occhio neppure del tecnico, ma del semplice uomo comune, la dimostrabile e perdurante assenza di reali e riscontrabili motivi in fatto e in diritto che ipoteticamente li possano giustificare nonostante gli stessi siano stati lealmente richiesti più volte dallo stesso Laurino, al quale bisogna dare atto di aver sempre rivolto le sue impugnazioni all'organo gerarchicamente superiore prima di adire l'autorità giudiziaria, ci hanno indotto ad una quantificazione dei danni patrimoniali alla professionalità oggettiva e derivanti da demansionamento , morali (sub specie di pretium doloris ), non patrimoniali alla reputazione personale e professionale, esistenziali in un importo non inferiore ad 1.156.344 euro, facendo salva l' ulteriore voce di pregiudizio relativa al danno biologico permanente, in relazione al quale abbiamo chiesto l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio, e lasciando impregiudicati ulteriori danni morali, esistenziali e non patrimoniali derivanti dall'ultimo rapporto informativo relativo al periodo 29.5.2003 - 11.8.2003, notificato all'interessato lo scorso 27 novembre, e per il quale la difesa che dirigo sta predisponendo ricorso per motivi aggiunti.

E' stata fissata dal Tribunale Amministrativo udienza in camera di consiglio per il 19 dicembre 2003 solo per quanto concerne la delibazione sull' istanza di sospensiva degli effetti dell'impugnata sanzione disciplinare, della scheda valutativa 29.5.2002 - 28.5.2003, e dell'impugnando rapporto informativo 29.5.2003 - 11.8.2003.

Si consideri soltanto che in relazione alla predetta scheda valutativa i soggetti redattori della stessa hanno ritenuto di diminuire non solo alcune delle voci analitiche di giudizio impugnate sul presupposto che il Laurino era incorso in mende di carattere disciplinare ma anche diverse altre voci di giudizio che con le fattispecie disciplinarmente censurate (le quali sono state, a loro volta, tutte impugnate dal Laurino senza che ad oggi fosse pervenuto alcun esito definitivo) non risultano minimamente pertinenti.

Addirittura, nel successivo rapporto informativo 29.5.2003 - 11.8.2003, sono state interamente confermate le precedenti aggettivazioni, sia quelle che secondo la gerarchia sarebbero state in precedenza attinenti alle sanzioni disciplinari a loro volta impugnate, sia quelle diverse altre che con le censure disciplinari non avevano alcun legame logico - semantico, con l'ulteriore indiscutibile circostanza di fatto che però nel periodo di servizio 29.5.2003 - 11.8.2003 il Maresciallo Laurino non ha riportato neppure la parvenza di un mero richiamo verbale.

Qual è lo stato della legislazione e della giurisprudenza in tema di mobbing ?

Occorre subito dire che, come più volte scritto in dottrina, nuovo è il termine, antico è il problema, antico quanto l'uomo. Dietro la definizione anglosassone di mobbing non si nasconde niente che non sia gia noto ai consociati in termini di antigiuridicità. Il mobbing altro non è che il sopruso, la vessazione, l'abuso perpetrati nell'ambiente di lavoro, in occasione e per cause derivanti dalla conflittualità fra l'ambiente lavorativo nel quale è inserito il lavoratore e quest'ultimo. Tutto ciò è sempre esistito, e non ci voleva certamente la pur sintetica ed efficace espressione anglossassone per acquisirlo alla consapevolezza della opinione pubblica.

Sotto il profilo più strettamente giuridico, è necessario quindi distinguere due profili di valutazione del problema; una valutazione per così dire ""atomistica"" e frammentata, che allineandosi ai classici schemi della responsabilità civile non costituisce la vera ""novità"" del mobbing per come inteso dalla dottrina e giurisprudenza (a partire dalle prime sentenze del Tribunale di Torino 16.11.1999 e 30.12.1999 che lo hanno introdotto nell'ordinamento italiano, pubblicate e commentate rispettivamente in ""Il Lavoro nella Giurisprudenza"", 2000, fasc.9, 361 e 832 .).

Sotto questo primo profilo, la legislazione da sempre fornisce validi strumenti di tutela; si pensi all'articolato del Codice penale riguardante i reati di lesioni personali (nell'ipotesi in cui al cd."" mobbizzato "" vengano riscontrate delle patologie eziologicamente collegabili allo stato di disagio psico - fisico conseguente alle condotte vessatorie), maltrattamenti (una recente sentenza della VI Sezione penale della Suprema Corte depositata il 12 marzo 2001, imp. Erba, ampiamente pubblicata e commentata nelle varie riviste di diritto e consultabile tramite i comuni motori di ricerca, ha sancito che le ripetute vessazioni morali del datore di lavoro nei confronti del dipendente integrano astrattamente la fattispecie legale del reato di maltrattamenti ex art.572 Cp .), ingiuria e diffamazione (artt.594 e 595 p.), violenza privata (art.610 Cp .), molestie (art.660 Cp .).

Nel diritto civile vi sono le note clausole generali di cui agli artt.2043 e 2087 cc ., da raccordare in combinato disposto con le disposizioni costituzionali quali l'art.2, 3, 32, 35, 97, 103, 111, 113 Cost ., i primi cinque articoli, è doveroso precisarlo, sono stati anch'essi riconosciuti dalla unanime dottrina e giurisprudenza aventi diretta ed immediata forza precettiva , senza che per la loro concreta attuazione sia renda quindi necessaria l'emanazione di una apposita legge ordinaria.

Vi è tuttavia un altro approccio alla problematica, che invece si sforza di guardare congiuntamente sia il singolo episodio atomisticamente considerato, sia l'intera sequenza di eventi vessatori al precipuo scopo di evidenziarne la sinergia d'insieme.

Secondo l'attuale pensiero giuridico e l'orientamento dei Tribunali, anche condotte, episodi, provvedimenti che di per sé sono apparentemente legittimi o che comunque non sono dichiarati illeciti da un organo giurisdizionale se presi singolarmente, assumono invece ben altra valenza in termini di antigiuridicità se vengono correttamente inseriti nel ""quadro d'insieme"", acquisendo, proprio per tale giusto inquadramento storico, un disvalore che il giudice non poteva conoscere avvalendosi dei classici schemi di configurazione della responsabilità risarcitoria , poiché quest'ultima si fermava, per l'appunto, solo al singolo evento.

E' questo il concetto di mobbing inteso quale “ Legal framework ” coniato da notissimi cultori della responsabilità civile quali Pier Giuseppe Monateri , Oliva, Bona, in "La responsabilità civile del mobbing ", Ipsoa 2002, pag. 35, e seguito dalla fino ad oggi prevalente giurisprudenza civile.

Secondo alcuni, il mobbing per le organizzazioni militari non può sussistere perché un'ampia discrezionalità nell'impiego del personale sarebbe un fattore indispensabile per garantire la coesione degli apparati.

Questa è stata la preliminare problematica che mi sono posto nello studio delle vicende del signor Laurino e nella contestuale valutazione di esperibilità dell'azione legale.

Come sottintende la stessa domanda, ancora si riscontra, negli ambienti militari, la erronea convinzione che il lavoratore con le "stellette" sarebbe sottoposto ad un vincolo di status più intenso rispetto a quello del corrispondente impiegato civile dello Stato, e che gli oneri derivanti da tale status e la correlata ampia discrezionalità amministrativa impedirebbe allo stesso di esercitare quei diritti che sono riconosciuti agli altri consociati per il solo e semplice fatto dell'appartenenza dello stesso all'organizzazione militare.

Anche qui bisogna fare chiarezza. I lineamenti giuridici e la consistenza dello status di militare non si rinvengono certamente dalle prassi e dalle consuetudini militari (ammesso che ce ne siano in tal senso così fortemente restrittivo), ma si formano solo ed esclusivamente in base al diritto positivo, vale a dire alle statuizioni legislative vigenti in un determinato periodo storico.

La normativa oggi vigente prevede una importantissima clausola di salvaguardia, vale a dire l'art.3 della Legge di principio sulla disciplina militare (la nota L.382 / 1978), la quale, senza veramente mezzi termini, proclama che l'appartenente alle FF.AA. esercita esattamente gli stessi diritti costituzionali riconosciuti agli altri cittadini.

Si dà il caso che fra i diritti fondamentali riconosciuti al cittadino militare vi sono , evidentemente, il diritto al pieno sviluppo della sua personalità nelle varie formazioni sociali (art.2 Cost. e 21 RDM), il diritto a non essere discriminato ed alla pari dignità sociale (art.3 Cost ., recepito anch'esso dall'art.21 del Regolamento di Disciplina militare), il diritto ad essere rispettato e a non essere oggetto di soprusi e prevaricazioni (artt.2, 3, 32, nonché art.21 RDM), il diritto a non ricevere ingiusti turbamenti d'animo, il diritto all'onore, alla reputazione personale e professionale, il diritto a svolgere le mansioni per le quali è stato professionalmente formato (artt.2, 35, recepito nello stesso ordinamento militare dal ripetuto art.21 RDM), e, last but not least , il diritto ad una equa, trasparente, imparziale, obiettiva e serena amministrazione (art.97 Cost.).

E' vero che egli può essere sottoposto a particolari limitazioni di esercizio di tali diritti, dice l'art.3 della Legge di principio, ma queste ipotetiche limitazioni, che si badi bene non si rinvengono nel panorama normativo vigente:

-         possono essere espressamente previste non da una circolare del pur rispettabile Comando Generale, o peggio ancora da una disposizione interna del singolo Comando territoriale o dal singolo Comandante, bensì solo ed esclusivamente dalla legge formale, o dagli atti aventi forza di legge;

-         possono statuirsi solo ed esclusivamente con legge ordinaria comunque e nel contestuale rispetto dei principi costituzionali dell'ordinamento giuridico.

La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di pronunziarsi su tale tema, ribadendo che la clausola di garanzia contenuta nel predetto art.3 deve interpretarsi quale una riserva assoluta di legge (TAR Lazio, sentenze del 1999 e 1994).

Ma c'è di più; negli ultimi anni è intervenuta addirittura la Corte Costituzionale la quale, con le sentenze 449 / 1999, 332 / 2000, e 445 / 2002 (quest'ultima integralmente consultabile sul sito www.altalex.it con commento di dottrina amministrativistica ), la 332 e la 445 di pronunzia di incostituzionalità di leggi concernenti proprio i requisiti per l'arruolamento nel Corpo della Guardia di Finanza, ha letteralmente proclamato che "i diritti fondamentali del cittadino militare non recedono di fronte alle esigenze della struttura militare". Smentendo quindi, dall'alto del suo magistero, le vecchie e stereotipate formule, ben note nell'ambiente militare, delle famigerate "esigenz e di servizio" ed ogni altra circonlocuzione più o meno volutamente ermetica.

Quindi, constatato che nell'assetto normativo attuale non risulta alcuna limitazione dell'esercizio dei cennati diritti fondamentali della persona operata attraverso lo strumento della legge formale e che lo stesso Giudice delle leggi è intervenuto con la sua massima autorità giurisdizionale per fare massima chiarezza sul non più controverso punto, bisogna concludere che non si ravvisano validi argomenti di carattere tecnico - giuridico favorevoli alla tesi dell'ampia discrezionalità dell'amministrazione militare.

Permane, ad onor del vero, tale latitudine discrezionale solo nel caso in cui vengono in gioco interessi pubblici di tale preminenza da dover necessariamente sacrificare le posizioni giuridiche soggettive e le aspettative del singolo militare; ma queste evenienze non sono certamente all'ordine del giorno ed ineriscono un piano di interessi che non ha alcuna minima attinenza con l'assetto degli oneri contrattuali derivanti dall'esecuzione del mero e semplice rapporto di lavoro alle dipendenze dell'amministrazione militare, come acutamente sottolineato dalla II Sezione dello stesso TAR Sicilia, Sez. Staccata di Catania, nella pregevolissima sentenza depositata il 16 aprile 2003 e consultabile integralmente su www.diritto.it.

Cosa può fare in concreto un militare vittima di mobbing o se non viene impiegato in modo coerente al grado rivestito e alla formazione ricevuta?

Ferme restando tutte le precedenti osservazioni, mi sento in dovere di consigliare la massima prudenza prima di intentare azioni legali contro l'amministrazione militare. Il caso del Maresciallo Laurino, lo riconoscerà anche il diretto interessato, è più unico che raro, ed è stato portato all'attenzione del Giudice amministrativo soprattutto sotto il profilo della richiesta risarcitoria solo perché la difesa che conduco ha a disposizione tutti quei documenti attestanti le varie vicende che lo hanno coinvolto, supporto probatorio che mi ha permesso di impostare una linea difensiva già completamente affrancata dalla dimostrazione delle varie vicende nella loro mera materialità, e di concentrare invece tutte le osservazioni prevalentemente nella successiva fase della loro qualificazione giuridica.

In casi (forse, ed auspicabilmente ) più ordinari, devo evidenziare che risulta difficile produrre quegli elementi di prova in grado di delineare quel complessivo quadro richiesto per la sussistenza quantomeno del fumus del mobbing , ancorché tale osservazione non assorbe certamente l'eventuale illegittimità / illiceità dell'eventuale singolo episodio.

Quindi, il consiglio che ritengo di poter dare ai militari del Corpo è quello di privilegiare innanzitutto la strada del dialogo e dell'apertura mentale nei confronti dei superiori gerarchici; cercare un colloquio franco, sereno e scevro da rispettive riserve mentali al fine di esplorare eventuali soluzioni non contenziose.

Solo nel caso in cui risulti evidente e conclamata una mancanza di plausibile e non irridente risposta alle proprie legittime osservazioni ed alle proprie legittime istanze, il militare dovrebbe a quel punto valutare, con la necessaria ed insostituibile consulenza di un legale esperto nella materia, eventuali opzioni giurisdizionali.

 


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