FONDI PENSIONE: OPPORTUNITA’ E RISCHI DELLA NUOVA STAGIONE PREVIDENZIALE ITALIANA (di Eliseo Taverna, Raffaele Dalessandro e Daniele Tisci)

giovedì 19 aprile 2007

Pubblichiamo un interessante approfondimento sulle prospettive dei fondi pensione elaborato dai delegati Cocer-Gdf Eliseo TAVERNA, Raffaele DALESSANDRO e Daniele TISCI.

 

La riforma Amato prima, (decreto legislativo n. 503 del 30.12.92) e quella Dini poi, (legge 335 del 08.08.1995) se da un lato hanno doverosamente posto un freno ad un sistema pensionistico "molto generoso" e forse unico al mondo, dall’altro hanno determinato un nuovo scenario previdenziale non certo idilliaco: i correttivi insiti nella legge Dini, con il ricorso a forme pensionistiche integrative - i cosiddetti Fondi Pensione Nazionali – sono stati varati solo per alcuni settori (e con medio successo), lasciando fuori, tra gli altri, un importante segmento dello Stato, il comparto difesa e sicurezza.

Questa scelta sta provocando un forte allarme sociale tra i lavoratori appartenenti alle forze di polizia ed al mondo militare che, all’atto del pensionamento si vedranno, al pari degli altri lavoratori, decurtate drasticamente le loro pensioni, riducendole a livelli inaccettabili da non poter consentire loro di mantenere lo stesso livello di vita di quando erano in servizio.

Gli elementi negativi insiti nei provvedimenti normativi in questione provocano un decremento dell’importo delle prestazioni pensionistiche, tanto più accentuato quanto minore è l’anzianità di servizio del personale interessato alla data convenzionale del 31.12.95. Con l’introduzione del sistema di calcolo su base contributiva, le maggiori penalizzazioni ricadono sul personale assunto dal 1° gennaio 96. Secondo recenti stime, è stato calcolato che la perdita "secca", in termini nominali, gravante su tale personale all’atto del collocamento in quiescenza, con la massima anzianità, rispetto a coloro che vedevano conteggiata la pensione con il vecchio sistema retributivo è rilevante: i primi riceveranno non oltre il 50/65% dell’ultima mensilità contro l’80% della mensilità media degli ultimi cinque anni riservata al secondo gruppo di pensionati. Il decreto legislativo 252/2005, modificato dal d.l. n. 279 del 13.11.2006, ha riformato in modo significativo la previdenza complementare e, l’entrata in vigore (1° gennaio 2008), è stata anticipata al 1° Gennaio 2007 dalla legge 296/2006 (finanziaria 2007).

I fondi pensione, secondo l’attuale normativa, vengono alimentati mediante il Tfr che maturerà il lavoratore, il versamento di contributi volontari a carico dello stesso ed il versamento di contributi da parte del datore di lavoro (di norma in pari misura a quelli versati dal dipendente, qualora previsto dal C.C.N.L. del settore). Aderendo per circa 25/30 anni ad un fondo pensione chiuso, di categoria (questo tipo generalmente fa degli investimenti più prudenziali), al quale versare circa il 10% della retribuzione lorda annua (tutto il Tfr annuo maturando, che è pari a circa il 6,91% più il 3-4% di contribuzione volontaria ripartita pariteticamente tra il lavoratore ed il datore di lavoro) si stima che la possibilità di integrazione, del trattamento pensionistico, sia pari a circa il 20% dell’ultimo stipendio.

Tra luci ed ombre quindi, è partita dal 1° gennaio 2007 la previdenza complementare per i dipendenti del settore privato e per alcuni settori pubblici (Sanità ed Enti locali ) mentre é in fase di studio l’estensione a tutto il pubblico impiego. Il secondo pilastro della previdenza italiana, invece, è ancora lontana dal decollare per l’importante comparto pubblico della difesa e sicurezza.

Purtroppo, probabilmente per aver sottovalutato la problematica o per paura che l’avvio della previdenza complementare anche a questi settori potesse indurre il legislatore a ricondurre le forze di polizia e le forze armate nelle regole pensionistiche in vigore per tutti gli altri lavoratori, chi rischia di rimanere escluso da questa importante riforma potrebbe essere, tra gli altri, anche il personale del comparto difesa e sicurezza, a causa della mancata realizzazione negli anni di un tavolo di concertazione volto alla creazione dei fondi pensione nazionali di categoria. Tale inadempienza, che non può certo essere fatta risalire al lavoratori appare, ad oggi, insanabile per il passato, poiché non è possibile attivare i fondi della specie in modo retroattivo. La sperequazione sociale ed il nocumento economico derivante dall’assenza del "secondo pilastro" previdenziale sono enormi.

Una cosa è certa. Il decollo della previdenza complementare per tutti i lavoratori, che esiste dal 1993, non può più essere rinviato alle "calende greche".

Pare, che il governo abbia già a disposizione le somme per costituire ed avviare i fondi pensione per i dipendenti pubblici, ma non vi é traccia alcuna di quelle da destinare al comparto difesa e sicurezza.

Un ritardo inaccettabile, che viene da lontano e che è il frutto anche di scelte "sindacali" fatte nel corso degli anni. Scelte, queste, che possono essere messe o meno in discussione, ma che attualmente ingenerano allarme e sconforto tra gli operatori del settore.

La difficoltà di garantire un sistema concorrenziale e gli interessi dell’industria finanziaria – banche ed assicurazioni – sono in conflitto con le aspettative di un miglior tenore di vita per tutti i pensionati del futuro.

Il sistema previdenziale pubblico rischia di implodere nel giro di pochi decenni a causa di un fenomeno demografico, difficilmente contrastabile: il basso tasso di natalità e l’aumento della speranza di vita. Due fattori questi che denotano, da un lato, i progressi in campo sociale ed economico compiuti dal nostro Paese ma, dall’altro, mettono a nudo il nocciolo del problema. Chi finanzia le pensioni dei

più "vecchi" se le fila dei lavoratori si assottigliano sempre di più?

E’ di questi giorni la notizia che gli italiani ricorrono sempre più al credito al consumo (nel 2006 sono stati erogati prestiti per 13,5 miliardi di euro) facendo registrare un aumento del 24,8% rispetto al 2005. Ricorso al credito, anche per poter pagare le vacanze, comperare i libri scolastici per i propri figli o addirittura per ripianare posizioni debitorie accumulate nel corso degli anni.

Questo dato, denota chiaramente, la difficoltà delle famiglie italiane, appartenenti al ceto medio e medio basso a far fronte alle esigenze di tutti i giorni.

Quindi, l’ipotesi che i lavoratori di oggi utilizzino i loro risparmi (che tra l’altro si sono ridotti in maniera sensibile negli ultimi anni, tanto che l’Italia non è più la capitale del risparmio) per investire con contribuzioni volontarie nei fondi pensione, appare del tutto irrealistica.

Per uscire dall’empasse non resta allora che percorrere un’altra strada, quella della sola destinazione del Tfr con tempi e modalità che i decreti governativi dovranno stabilire.

Al riguardo, è opportuno precisare che la scelta riguarderà unicamente le quote annue del Tfr che il lavoratore maturerà dal momento dell’adesione al fondo. Invece, le somme del tfr o tfs maturate fino a quel momento rimarranno nella piena disponibilità giuridica del dipendente che le percepirà all’atto del pensionamento, nei modi e nei termini previsti dai singoli ordinamenti.

L’aspetto rilevante della particolare posizione nella quale si trovano i dipendenti di alcuni settori dello Stato e del parastato merita un’analisi più approfondita. Infatti, attualmente, non può esercitare l’opzione per il Tfr e, quindi, aderire ad un fondo pensione, il personale di alcuni strategici settori dello Stato: magistrati ordinari, contabili ed amministrativi, professori e ricercatori universitari, dipendenti del Parlamento e del segretariato della Presidenza della Repubblica, dipendenti in regime di tfs degli Enti che svolgono la vigilanza sulle attività creditizie, finanziarie e di tutela del risparmio, addetti alla carriera diplomatica e prefettizia, appartenenti alle forze di polizia ed alle forze armate.

Infatti, la normativa che regola la materia ha stabilito che il personale di queste categorie rimarrà in regime di Tfs - qualunque sia la data di assunzione nella Pubblica Amministrazione - finché i rispettivi ordinamenti non disporranno diversamente. Al contrario, tutti gli altri dipendenti pubblici, assunti a tempo indeterminato, a far data dal 1° gennaio 2001 sono in regime di Tfr. E’ il caso di precisare che qualora sarà avviata la previdenza complementare anche per i settori strategici, precedentemente citati, il passaggio dal Tfs al Tfr non sarà automatico ma sarà consequenziale alla scelta del singolo dipendente di aderire ad un fondo pensione. Pertanto, coloro che non aderiranno rimarranno in regime di Tfs.

La richiesta fatta al Governo, alcuni mesi fa, da parte dei Co.Ce.R. e delle OO.SS., di posticipare, per gli appartenenti alle FF.PP. ed alle FF.AA., il termine di avvio del sistema di calcolo contributivo di cui all’articolo 1, comma 12, lettera a) della legge 08.08.1995, n. 335, al 31 dicembre dell’anno di effettivo avvio della previdenza complementare è tecnicamente possibile ma di improbabile attuazione, poiché potrebbe essere vista come la creazione di una sacca di privilegiati rispetto alle altre categorie di lavoratori.

La scelta di optare per un fondo pensione deriva dall’aspettativa di incassare rendimenti superiori a quelli garantiti dal Tfr e guadagnarsi un tenore di vita migliore al termine del ciclo lavorativo.

Se questo vantaggio non si concretizzerà, si verificherà una redistribuzione del reddito a scapito dei pensionati ed a favore dell’industria finanziaria che, a breve, appare destinata a gestire il futuro di 11 milioni di lavoratori. Business, al quale guardano con particolare attenzione anche le banche straniere che potrebbero offrire i loro prodotti. I sindacati temono che banche ed assicurazioni, spingendo per l’equiparazione dei fondi aperti a quelli chiusi, stiano in realtà cercando di offrire all’ingenuo risparmiatore soluzioni a costi elevati con basso o medio rendimento, applicando il modello già ampiamente sperimentato con successo (per i loro bilanci, s’intende) di gestione del risparmio delle famiglie. La richiesta di equiparazione, in linea di principio, non appare insensata perché potrebbe innescare meccanismi potenzialmente concorrenziali a tutto vantaggio del sistema, lavoratori in primis: libertà di scelta tra i vari fondi, libertà da parte dell’azienda di promuovere un fondo o aderire ad uno chiuso esistente e versare la propria quota nel fondo scelto dal lavoratore, piena trasferibilità delle quote accantonate da un fondo all’altro. I fondi in competizione tra loro avranno tutto l’interesse di puntare all’efficienza di gestione, di migliorare l’offerta di servizi e consulenza ma soprattutto di individuare il profilo finanziario che meglio si adatta agli interessi del lavoratore. L’industria finanziaria è l’unica a non rischiare nulla, è chiaro che da questa gigantesca ed epocale trasformazione ha solo da guadagnare. Intanto potrebbe mirare a fornire prodotti per nulla remunerativi e molto costosi, palesemente fuori mercato, sfruttando una carenza informativa sull’argomento, la scarsa dimestichezza finanziaria e l’ingenuità dei lavoratori, la poca trasparenza e la complessità dei prodotti offerti nonché il conflitto di interessi inevitabile delle reti di vendita (chi offre a un imprenditore il fondo pensione per i dipendenti, gli offre anche prestiti, leasing e gestione del suo portafoglio).

Al potenziale danno, si potrebbe aggiungere il rischio della beffa per milioni di persone: all’atto dell’erogazione della previdenza complementare è stato imposto l’obbligo di non poter ricevere più del 50% del Tfr, convertito in fondo pensione, mentre la differenza sarà data sotto forma di rendita vitalizia, senza peraltro indicare i criteri per la determinazione della speranza di vita.

Fondi pensioni e lavoratori, dunque, nelle mani dell’industria finanziaria, il cui unico vincolo sarà quello di fornire un rendimento minimo, mediamente del 2-3% (quanto l’inflazione attesa). Infatti, i fondi pensione investono sui mercati finanziari e quindi, il loro rendimento non è garantito (i fondi pensione sono considerati a contribuzione definita e non a prestazione definita. Cioè, si ha la certezza di quello che si versa, ma non quella di ciò che si guadagnerà). Ad onor del vero, va anche precisato che gli amministratori dei fondi pensione sono scelti tra persone qualificate ed i versamenti sono amministrati da una banca depositaria che gestisce e vigila sull’impiego delle somme.

Non si può, infine, sottovalutare che se da un lato aderire alla previdenza complementare, tra luci ed ombre, appare comunque indispensabile, almeno per i lavoratori più giovani, dall’altro non aderendo, il Tfr maturando potrebbe costituire una sorta di paracadute per coloro che, per qualsivoglia motivo, perdono il lavoro e non hanno altre forme di sostentamento. Infatti, per queste persone, le politiche italiane del "welfare" non prevedono, purtroppo, "ammortizzatori sociali" dignitosi, a differenza di quanto avviene, già da molti anni, nella maggior parte dei paesi del nord Europa.

Sembrerebbe che la COVIP (Commissione di Vigilanza sulle Pensioni), deputata al controllo dei fondi, sarà abolita e le proprie competenze affidate ad altri Enti che già svolgono delicati e gravosi compiti. Come al solito abbiamo un obbligo morale che ci impone un interrogativo: chi tutelerà seriamente i lavoratori?

* Delegati Co.Ce.R. gdif


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