È EVIDENTE LA SITUAZIONE DI INCOMPATIBILITÀ DEL COMANDANTE ALL’ADOZIONE DI UN PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE BASATO SULLA ESPRESSIONE DI GIUDIZI E APPREZZAMENTI A SUO CARICO (Consiglio di Stato)

martedì 22 novembre 2022

Sintesi

Il Ministero della difesa e il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale, che ha accolto il ricorso proposto dall’appuntato scelto avverso il provvedimento di reiezione del ricorso gerarchico, con cui era stato impugnato il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della consegna di due giorni.

La sentenza di primo grado ha accolto il ricorso, in quanto l’impugnato provvedimento era stato disposto proprio dal Comandante che era stato destinatario delle offese oggetto del provvedimento disciplinare, in violazione di un principio di imparzialità comunque immanente nell’ordinamento anche militare per la irrogazione di sanzioni disciplinari con conseguente obbligo di astensione.

Ritiene il Collegio che le previsioni dell’ordinamento militare non possano fare venire meno l’applicazione dei principi generali dell’ordinamento ed in particolare dei procedimenti sanzionatori e disciplinari, le cui norme generali devono dunque ritenersi prevalenti su quelle specifiche della disciplina militare.

Ne deriva che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, la competenza attribuita al comandante del reparto non può ritenersi a tal punto tassativa da dovere essere effettivamente conservata anche nei casi in cui sia egli stesso la persona offesa dei comportamenti del militari astrattamente rientranti nella fattispecie sanzionatoria, pena la violazione del principio generale dell’imparzialità direttamente derivante dall’art. 97 della Costituzione.

Ritiene, dunque, il Collegio che debba farsi applicazione dell’orientamento giurisprudenziale già espresso per cui va ravvisata la violazione dell’art. 97, primo comma, della Costituzione, quando l’Autorità che abbia irrogato la sanzione disciplinare coincida con il soggetto che sia stato leso dal comportamento del dipendente ed abbia contestato gli addebiti.

Costituisce principio generale per l’esercizio di un potere amministrativo, in particolare discrezionale, l’imparzialità del soggetto che adotta il provvedimento finale.

È evidente la situazione di incompatibilità del comandante all’adozione di un provvedimento disciplinare basato sulla espressione di giudizi e apprezzamenti a suo carico.

L’appello è dunque infondato e deve essere respinto.

Sentenza

Pubblicato il 09/03/2020

N. 01654/2020REG.PROV.COLL.

N. 00695/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 695 del 2011, proposto dal
Ministero della difesa in persona del Ministro pro tempore, Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, Regione Carabinieri Lombardia - Gruppo di -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato *************;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnativa della SANZIONE DISCIPLINARE DELLA CONSEGNA

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Generoso Di Leo e l’avv. *******

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente atto di appello il Ministero della difesa e il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, che ha accolto il ricorso proposto dall’appuntato scelto -OMISSIS- (successivamente cessato dal servizio dal 26 luglio 2010) avverso il provvedimento del 28 aprile 2010 di reiezione del ricorso gerarchico, con cui era stato impugnato il provvedimento del 16 febbraio 2010 del Comandante del -OMISSIS--OMISSIS- di irrogazione della sanzione disciplinare della consegna di due giorni.

Il provvedimento disciplinare era stato inflitto per la violazione dell’art. 36 comma 3 lettera a) del Regolamento di disciplina militare, approvato con D.P.R. n. 18 luglio 1986, n. 545 per avere espresso nei confronti del Comandante del -OMISSIS--OMISSIS- nella missiva inviata al Ministero della Difesa direzione generale per il personale militare il 18 novembre 2009 “-OMISSIS-.

L’avvio del procedimento disciplinare era stato comunicato con nota del 24 novembre 2009 con cui erano stati contestati gli addebiti; il militare aveva presentato una memoria difensiva il 5 febbraio 2010.

La sentenza di primo grado ha accolto il ricorso, in quanto l’impugnato provvedimento era stato disposto proprio dal Comandante che era stato destinatario delle offese oggetto del provvedimento disciplinare, in violazione di un principio di imparzialità comunque immanente nell’ordinamento anche militare per la irrogazione di sanzioni disciplinari con conseguente obbligo di astensione.

Con l’atto di appello sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado, sostenendo che non sussiste alcuna previsione normativa che preveda l’obbligo di astensione del comandante di reparto, competente, invece, ad adottare le sanzioni disciplinari di corpo, ai sensi del Regolamento di disciplina militare, come specificato, altresì, dalla Circolare del 26 gennaio 2006 del Comando generale dei Carabinieri (depositata nel presente giudizio tra gli allegati all’atto di appello), per cui era identificato nel comandante del nucleo, nel caso di specie, quindi nel comandante del nucleo informativo di -OMISSIS- a cui apparteneva il militare. Inoltre, è stato dedotto che il provvedimento impugnato in primo grado era il provvedimento di reiezione del ricorso gerarchico adottato da soggetto differente dal Comandante del nucleo informativo di -OMISSIS- per cui sussisteva la affermata incompatibilità. Nell’atto di appello sono stati poi contestati gli ulteriori motivi di ricorso di primo grado, peraltro non riproposti nel presente giudizio dalla parte appellata, ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a..

Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS-, che ha contestato la fondatezza dell’appello avversario.

Con ordinanza n. -OMISSIS-è stata respinta la domanda cautelare di sospensione della sentenza appellata.

In vista dell’udienza pubblica la difesa appellata ha presentato memoria insistendo nelle proprie argomentazioni.

All’udienza pubblica del 25 febbraio 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

Ai sensi dell’art. 13 della legge 11 luglio 1978, n. 382 “Norme di principio sulla disciplina militare”

la violazione dei doveri della disciplina militare comporta sanzioni disciplinari di stato e sanzioni disciplinari di corpo.

Le sanzioni disciplinari di stato sono regolate per legge.

Le sanzioni disciplinari di corpo sono regolate dal regolamento di disciplina militare, entro i limiti e nei modi fissati nei successivi articoli 14 e 15”.

In base all’art. 14 “le sanzioni disciplinari di corpo consistono nel richiamo, nel rimprovero, nella consegna e nella consegna di rigore.

Il richiamo è verbale.

Il rimprovero è scritto.

La consegna consiste nella privazione della libera uscita fino al massimo di sette giorni consecutivi.

La consegna di rigore comporta il vincolo di rimanere, fino al massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell'ambiente militare - in caserma o a bordo di navi - o nel proprio alloggio, secondo le modalità stabilite dal regolamento di disciplina.

La consegna e la consegna di rigore possono essere inflitte rispettivamente dal comandante di reparto e dal comandante del corpo o dell'ente presso il quale il militare che subisce la punizione presta servizio, salvo i casi di necessità ed urgenza ed a titolo precauzionale”.

Ai sensi dell’art. 15, “nessuna sanzione disciplinare di corpo può essere inflitta senza contestazione degli addebiti e senza che siano state sentite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato”.

Inoltre, in base all’art. 57 del citato Regolamento di disciplina militare approvato col d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, “costituisce infrazione disciplinare punibile con una delle sanzioni disciplinari di corpo, salva l'applicabilità di una sanzione disciplinare prevista dalla legge di Stato, ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti militari, o conseguenti all'emanazione di un ordine.

2. Nel rilevare l'infrazione il superiore deve attenersi alla procedura di cui al successivo art. 58”.

Ai sensi dell’art. 58, “ogni superiore che rilevi l'infrazione disciplinare, per la quale non sia egli stesso competente ad infliggere la sanzione, deve far constatare la mancanza al trasgressore, procedere alla sua identificazione e fare rapporto senza ritardo allo scopo di consentire una tempestiva instaurazione del procedimento disciplinare.

2. Il rapporto deve indicare con chiarezza e concisione ogni elemento di fatto obiettivo, utile a configurare esattamente l'infrazione. Il rapporto non deve contenere proposte relative alla specie ed alla entità della sanzione.

3. Se il superiore che ha rilevato l'infrazione ed il militare che l'ha commessa appartengono allo stesso corpo, il rapporto è inviato:

a) direttamente al comandante di reparto, se comune ad entrambi i militari;

b) per via gerarchica al comandante del corpo, se trattasi di militare di altro reparto….

Negli altri casi il superiore, tramite il proprio comando di corpo o ente, invia il rapporto al comando di corpo da cui il trasgressore dipende; qualora egli si trovi fuori dalla propria sede il rapporto deve essere presentato, per l'inoltro, al locale comando presidio”.

Dunque, tale disciplina indica la competenza all’adozione dei provvedimenti sanzionatori, che, per la consegna, è attribuita al comandante del reparto presso il quale il militare che subisce la punizione presta servizio, senza ulteriori specificazioni.

Inoltre, in base alla circolare del Comando generale dell’Arma dei carabinieri del 26 gennaio 2006 che individua le Autorità competenti all’irrogazione della sanzione, per il personale appartenente ad un Nucleo è indicato il Comandante del Nucleo. Quindi, nel caso di specie, il Comandante del Nucleo informativo di -OMISSIS- era individuato come competente all’adozione della sanzione.

Peraltro, ritiene il Collegio che anche tali previsioni dell’ordinamento militare non possano fare venire meno l’applicazione dei principi generali dell’ordinamento ed in particolare dei procedimenti sanzionatori e disciplinari, le cui norme generali devono dunque ritenersi prevalenti su quelle specifiche della disciplina militare.

Ciò del resto trova conferma nelle stesse disposizioni sopra indicate che richiamano anche per l’ordinamento militare i principi generali dei procedimenti sanzionatori ( cfr. art. l5 comma 1 della legge n. 382 del 1978 , per cui “nessuna sanzione disciplinare di corpo può essere inflitta senza contestazione degli addebiti e senza che siano state sentite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato”; rispetto del principio di legalità in base all’art. 13 di detta legge, pur temperato per le sanzioni cd. di corpo dal rinvio al Regolamento di disciplina militare).

Ne deriva che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, la competenza attribuita al comandante del reparto non può ritenersi a tal punto tassativa da dovere essere effettivamente conservata anche nei casi in cui sia egli stesso la persona offesa dei comportamenti del militari astrattamente rientranti nella fattispecie sanzionatoria, pena la violazione del principio generale dell’imparzialità direttamente derivante dall’art. 97 della Costituzione.

Nel caso di specie, la sanzione della consegna è stata irrogata per la violazione dei doveri previsti dall’art. 36 della Regolamento di disciplina militare, in particolare ai sensi della lettera a), per cui il militare deve “-OMISSIS-”. In particolare, per avere espresso “giudizi ed apprezzamenti non confacenti alla dignità e al decoro, lesivi della personalità” proprio nei confronti del comandante che ha inflitto la sanzione.

Ritiene, dunque, il Collegio che debba farsi applicazione dell’orientamento giurisprudenziale già espresso da questo Consiglio per cui va ravvisata la violazione dell’art. 97, primo comma, della Costituzione, quando l’Autorità che abbia irrogato la sanzione disciplinare coincida con il soggetto che sia stato leso dal comportamento del dipendente ed abbia contestato gli addebiti.

In tal caso, non si può ritenere rispettato il principio di terzietà e di obiettività dell’azione amministrativa; l’espressa attribuzione della competenza al superiore non impedisce che la sanzione venga irrogata da altro soggetto appartenente al medesimo ufficio dall’autorità superiore (Consiglio di Stato Sezione, III, 26 settembre 2019, n. 6460; VI, 2 agosto 2006, n. 4722).

Tali principi devono essere ribaditi anche con riferimento alle sanzioni disciplinari cd. di corpo, per cui vi è una sostanziale libertà di forme del procedimento, che è comunque configurato come un procedimento di natura disciplinare in cui devono essere previamente contestati gli addebiti.

Il principio di imparzialità, sancito dall’art. 97 Cost., di cui l’obbligo di astensione, tipizzato dall’art. 51 c.p.c., rappresenta un corollario, assume portata generale, sicché le ipotesi di astensione obbligatoria non sono tassative, e come tali da interpretarsi restrittivamente, ma piuttosto esemplificative di circostanze che mutuano l’attitudine a generare il dovere di astensione direttamente dal superiore principio di imparzialità, che ha carattere immediatamente e direttamente precettivo (Consiglio di Stato, VI, 24 luglio 2019, n. 5239). L’obbligo di astensione rinviene la sua ragione giustificativa nel pieno rispetto del principio costituzionale del buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 della Costituzione, posto a tutela del prestigio della pubblica amministrazione e che non tollera alcun tipo di compressione (Consiglio di Stato, Sez. II, 21 ottobre 2019 n. 7113).

Tali orientamenti non possono non trovare applicazione anche rispetto all’ordinamento militare ed in particolare nei procedimenti sanzionatori, considerato anche che la consolidata giurisprudenza ritiene che l’individuazione della sanzione applicabile in ragione dell’illecito disciplinare nonché la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati costituisca, nell’ambito delle indicazioni fornite dal legislatore, espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione, censurabile da parte del giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità, solo per difetto di motivazione ovvero per eccesso di potere per illogicità o irragionevolezza, escludendo ogni sostituzione e/o sovrapposizione di criteri valutativi diversi (Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335; id., 9 marzo 2018, n. 1507; id., 22 marzo 2017, n. 1302).

Costituisce principio generale per l’esercizio di un potere amministrativo, in particolare discrezionale, l’imparzialità del soggetto che adotta il provvedimento finale.

Deve, infatti, essere richiamato l’art. 6 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, inserito dall'art. 1, comma 41, della legge 6 novembre 2012, n. 190, non immediatamente applicabile alla presente fattispecie, ma utile quale ausilio interpretativo dell’ambito di estensione del principio di imparzialità, per cui “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Inoltre, nel caso di specie, le concrete circostanze di fatto denotavano non una offesa dovuta ad un impulso momentaneo, ma una situazione complessa della quale il militare aveva interessato il Ministero della difesa- direzione generale per il personale militare con esposti propri relativi ai rapporti tra lui e il comandante e nel corso della quale sarebbero state espressi i “giudizi ed apprezzamenti non confacenti alla dignità e al decoro”, lesivi della personalità del detto comandante.

Prescindendo dall’esame dei presupposti della sanzione, non oggetto del presente giudizio, non essendo stati riproposti in appello gli ulteriori motivi di ricorso di primo grado, è evidente la situazione di incompatibilità del comandante all’adozione di un provvedimento disciplinare basato sulla espressione di giudizi e apprezzamenti a suo carico in una vicenda che inoltre ormai coinvolgeva anche l’apparato amministrativo della Difesa.

Il motivo di appello è, dunque, infondato.

Altresì, infondato, è il motivo relativo alla avvenuta decisione del ricorso gerarchico che –secondo la ricostruzione della difesa appellante- avrebbe in qualche modo assorbito il vizio relativo alla violazione del principio di imparzialità da parte del comandante del Nucleo informativo.

Tale ricostruzione non può essere condivisa, in quanto se è vero che la giurisprudenza considera la l’organo che decide il ricorso gerarchico in generale titolare della stessa competenza dell'organo gerarchicamente subordinato che ha adottato l'atto impugnato con la possibilità di rivalutare anche interamente la fattispecie concreta (Cons. Stato Sez. VI, 19 aprile 2011, n. 2413; Sez. III, 26 settembre 2019, n. 6455), nel caso di specie con il ricorso gerarchico era stato dedotto espressamente tale vizio del provvedimento sanzionatorio e la reiezione del ricorso sotto profilo non sfugge ad un sindacato di legittimità in questa sede, essendo stato proposto tale motivo anche avverso il provvedimento che ha respinto il ricorso gerarchico.

Sotto tale profilo deve rilevarsi che il ricorso gerarchico previsto nell’ordinamento militare, come riconosciuto anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 1997, risponde ai medesimi principi del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e che l’art. 5 del detto D.P.R. prevede espressamente che l’organo decidente possa annullare l’atto per incompetenza rimettendo all'organo competente, o, anche in caso di accoglimento per altri motivi di legittimità o per motivi di merito, possa occorrere il rinvio dell'affare all'organo che lo ha emanato, con ciò dimostrando che il provvedimento di secondo grado non può assorbire integralmente i vizi dedotti con il ricorso stesso.

Con la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale si determina, infatti, l’effetto devolutivo di ogni questione inizialmente dedotta in via gerarchica (Cons. Stato Sez. III, 16 aprile 2014, n. 1920).

E’, infatti, pacifica la natura “giustiziale”, assolta dai ricorsi indirizzati alle autorità amministrative, trattandosi di procedimenti di secondo grado che hanno per oggetto un provvedimento già emesso, sul quale gli interessati possono attivare una nuova valutazione della stessa autorità emanante o dell'organo sovraordinato ad essa, senza che la relativa pronuncia possa intendersi sostitutiva del rimedio giurisdizionale o limitativa dello stesso. Pertanto i poteri da esercitare in sede di decisione di ricorso gerarchico vanno ricondotti all’esame delle questioni proposte dal ricorrente, in esito al quale - ove le misure adottate non risultino per lo stesso satisfattive - deve restare possibile il vaglio giurisdizionale in rapporto al provvedimento originario. (Cons. Stato Sez. VI, 16 luglio 2012, n. 4150).

L’appello è dunque infondato e deve essere respinto.

Non devono essere esaminate le ulteriori questioni poste nell’atto di appello, che riguardano profili di contestazione avverso gli ulteriori motivi di ricorso di primo grado assorbiti dalla sentenza di primo grado, ma non riproposti nel presente giudizio dalla parte appellata, che non avrebbe comunque interesse a tali motivi per la reiezione dei motivi di appello.

Le spese seguono il regime della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali del grado in favore dell’appellato, nella misura di euro duemila (€ 2000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Francesco Guarracino, Consigliere

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

Cecilia Altavista

 

Fabio Taormina

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO

 

 

 

 


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