TAR E CONSIGLIO DI STATO, ECCO PERCHÉ L’INDIPENDENZA DEI GIUDICI È A RISCHIO. (da corriere.it)

lunedì 20 luglio 2020

Ai giudici la Costituzione garantisce l’indipendenza dal potere politico, proprio perché le sentenze devono considerare la legge come unico metro di riferimento. Ed è più difficile farlo quando hai rapporti stretti con gli altri poteri dello Stato. A giudicare la legittimità degli atti della pubblica amministrazione contro possibili abusi ai danni delle imprese o singolo cittadino, ci pensano i Tribunali amministrativi Regionali e il Consiglio di Stato. L’organo di primo grado è il Tar, con sede nei 20 capoluoghi di regione, più nove sezioni staccate. Il contenzioso è vario: dalle gare d’appalto alle delibere urbanistiche, dai concorsi, ai provvedimenti delle Autorità garanti, fino al ritiro dell’arma o al «no» alla regolarizzazione dell’extracomunitario.

Contro una sentenza del Tar si può ricorrere in appello al Consiglio di Stato che è, dunque, il decisore finale. Ma un ricorso può bloccare qualsiasi attività della Pubblica amministrazione perché prima di arrivare a una sentenza passano anche anni. La causa: un gigantesco arretrato. Il Consiglio di Stato però è anche il massimo organo di consulenza dell’Esecutivo. Fornisce pareri sui decreti e sulle norme del governo, sui singoli ministeri, sugli schemi generali dei contratti pubblici. E questa è la funzione consultiva prevista dalla Costituzione. Ma vi è anche un’attività di consulenza. Fatta da singoli giudici al di fuori del ruolo istituzionale che è svolto con la stesura delle sentenze. Chi fa consulenza sostiene di farlo nel tempo libero. Ma se c’è tempo libero allora come mai non si riesce a smaltire l’arretrato?

I numeri e i tempi dei ricorsi

I magistrati amministrativi in servizio, secondo gli ultimi dati, sono 276 al Tar e 92 al Consiglio di Stato. Secondo gli ultimi dati relativi al secondo semestre 2019, sono in 112 ad avere incarichi esterni.

A fronte di una montagna di ricorsi pendenti: a fine 2019 erano 24.039, di cui 10.758 giunti nel corso dell’anno. Quelli definiti 12.151. Di questo passo l’arretrato non si abbatte mai, soprattutto in alcune regioni.

Alla sezione di Roma del Tar del Lazio pendono 53.099 ricorsi. Contro gli 8.150 di Milano. A Napoli 15.585. In Sicilia, solo alla sezione di Catania, 21.119.

Nelle statistiche del Consiglio di Stato non si rintracciano i tempi medi di definizione di un processo. Quelli pubblicizzati sono rapidi, meno di due mesi. Ma sono relativi alla prima fase, dell’urgenza: la procedura cautelare che si può chiedere solo in caso di pericolo di subire un danno. Per i giudizi in materia di appalti sono 37 giorni. È nelle fasi successive però che tutto si rallenta. Al Tar possono volerci mesi. Al Consiglio di Stato anni.

Come si assegnano gli incarichi extra

Per alcuni incarichi la Pubblica Amministrazione chiede la competenza di «un» magistrato, e a indicare il nome è il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Cpga). È il sistema C, del «conferimento» che garantisce indipendenza e imparzialità. Per altri invece al Consiglio di Stato arriva la chiamata diretta «voglio tizio». È il sistema A, quello dell’«autorizzazione», che può essere giustificata per i ruoli di vertice in cui vi è un rapporto fiduciario (capo di gabinetto, vice, o dell’ufficio legislativo), ma per tutti gli altri ruoli è difficile comprenderne la ragione. Ci sono magistrati richiesti con funzioni vaghe di «esperto» o di «consigliere giuridico» presso il Dagl (dipartimento affari giuridici e legislativi della presidenza del consiglio dei ministri), i ministeri, oppure i commissari straordinari del governo, dove spesso non viene nemmeno indicato l’oggetto dell’attività. Il problema numero uno: chi va in «fuori ruolo» lascia un posto vuoto con il relativo carico di lavoro, poiché non esistono supplenti. Chi invece continua a fare il giudice, e ha un incarico esterno, salta da un ruolo all’altro nella stessa giornata, accumulando ritardi nella definizione dei fascicoli. Fra le attività extra-giurisdizionali c’è anche l’insegnamento. Per alcuni è una forma di collaborazione con le università, per altri un’attività parallela con compensi fino a 60 mila euro lordi per 32 giornate. Problema numero due: la commistione. C’è chi era segretario alla presidenza del Consiglio, ha poi avuto la nomina al Consiglio di Stato su proposta del governo e un mese dopo è tornato allo stesso posto a palazzo Chigi. Ci sono due sorelle, entrambe con incarichi esterni, una è fuori ruolo da anni. C’è chi ha sfondato il tetto massimo di 10 anni fuori ruolo e, anziché farlo rientrare, si è ritenuto che il periodo svolto fuori ruolo presso l’Authority non sia da conteggiare. Anche qui, come nella magistratura ordinaria, c’è il tema delle «porte girevoli» con la politica. Lo stesso presidente Filippo Patroni Griffi è stato ministro della Funzione Pubblica, nel governo tecnico di Mario Monti, e poi è rientrato tra quelli che lui ama definire i «guardiani del potere».

Indipendenza a rischio?

Il punto critico dunque non è solo quantitativo, ma di opportunità. La funzione consultiva, istituzionale ed extra, rischia di minare l’indipendenza dei magistrati dal potere politico, poiché il Consiglio di Stato può giudicare, o intervenire come consulente, sulle stesse questioni di cui è investito in sede giurisdizionale. Un controllore che è allo stesso tempo consulente del controllato sarà sempre al di sopra delle parti?

I giudici nominati dal Governo

L’indipendenza è messa a rischio anche dalle nomine governative. Un quarto dei consiglieri di Stato viene proposto dall’Esecutivo e reclutato tra alti funzionari dello Stato: professori universitari o avvocati con alti meriti. In genere il Cpga dà il via libera. Ma per 2 degli ultimi 4 nomi arrivati da Palazzo Chigi c’è imbarazzo. L’ex vicecomandante generale dei carabinieri Riccardo Amato e l’ex prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro hanno già avuto il via libera. Gli altri due, Antonella Trentini e Luca di Raimondo, sono stati rinviati in commissione per approfondimenti su profili di opportunità e incompatibilità. Nella loro audizione, il 2 luglio, si è parlato dei requisiti richiesti. Primi fra tutti gli «insigni meriti nell’ambito professionale». Antonella Trentini partecipò al concorso del Tar nel 2014, ma non fu tra i vincitori. Adesso spera di rientrare, dal portone laterale, direttamente al Consiglio di Stato con la nomina governativa. Vanta un’esperienza di avvocato degli enti locali, ma è conosciuta soprattutto per la sua attività sindacale che svolge tutt’ora all’interno dell’Unaep (Unione Nazionale enti Pubblici). Secondo alcuni non sono meriti insigni, altri evidenziano che la sua attività sindacale l’ha portata a una costante mediazione con il potere politico. Diversa la situazione di Luca Di Raimondo. Anche lui avvocato, del Foro di Roma, stimato amministrativista con un’intensa attività di difesa di Enti Pubblici e con incarichi in molteplici commissioni ministeriali. A oggi sono pendenti sia presso il tar che il Consiglio di Stato ricorsi che portano la sua firma. Non potrà impedire che il suo studio continui l’attività anche davanti agli organi della Giustizia amministrativa: quindi, da giudice, si troverà di fronte avvocati che prima sedevano nella stanza accanto. Visto che c’è l’obbligo di astenersi dal giudizio nei confronti delle parti difese o di quelle contro cui si è agito, quante volte dovrà farlo considerata la sua intensa e apprezzata attività? Il voto è fissato per il 17 luglio. Per prassi il parere è sempre stato con voto palese. Stavolta, invece, è stato dato mandato alla commissione competente di modificare il regolamento per introdurre il voto segreto. Tu chiamala, se vuoi, trasparenza.

 

 

Fonte: https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/tar-consiglio-stato-24mila-ricorsi-pendenti-giudici-impegnati-altrove/a82f9246-c5de-11ea-9728-f13f72535a3f-va.shtml

 

 


Tua email:   Invia a: