L'INTERVENTO DI DANIELE TISCI AL CONVEGNO SIAP DI NAPOLI: VA CONTRASTATO IL "PROGETTO ISOLAZIONISTA" ATTRIBUENDO LA FUNZIONE DI RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI MILITARI AD ORGANISMI ESTERNI E INDIPENDENTI DAGLI STATI MAGGIORI
Pubblichiamo di seguito l’intervento del delegato del Cocer Guardia di finanza, Daniele TISCI, al VII Congresso Nazionale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia (SIAP) che ha avuto luogo a Napoli dal 31 marzo al 2 aprile 2011.
INTERVENTO DI DANIELE TISCI
AL VII CONGRESSO NAZIONALE SIAP
(Napoli, 31 marzo – 2 aprile 2011
Buonasera,
innanzitutto colgo l’occasione per ringraziare il SIAP ed il suo Segretario generale, l’amico Giuseppe TIANI, per il garbo e la delicatezza mostrati nel rivolgere l’invito alle Rappresentanze militari del Comparto, ma anche per l’accuratezza nella scelta dei temi, che denota la straordinaria sensibilità  che ancora ispira e muove questa Organizzazione sindacale a trent’anni dalle radicali riforme della Polizia di Stato e del sistema sicurezza del nostro Paese.
Fu introdotto, trent’anni orsono, con la Legge 121/81, il concetto di coordinamento delle Forze di polizia, che ha sinora permesso che l’attività  posta in essere nel comparto, pur nella straordinaria capacità  organizzativa di “autogestione ministeriale”, potesse amalgamarsi con quella degli altri Corpi di polizia per rivolgere le forze verso un unico fine: la sicurezza dei cittadini.
Eppure, l’inesorabile trascorrere del tempo evidenzia pregi e difetti di ciascun modello e non di meno i limiti, che talvolta, in passato, sono stati determinati anche dal carattere burocratico con cui le Amministrazioni coinvolte nel processo di coordinamento si sono approcciate al nuovo sistema di sicurezza.
Non è un caso se anche autorevoli esponenti politici, hanno manifestato nel tempo l’esigenza di superare il concetto di “coordinamento”, individuando nella “direzione” un più incisivo strumento di integrazione tra le Forze di Polizia chiamate ad assicurare l’ordine pubblico nel Paese.
Autogestione, Coordinamento, Direzione, modalità  di esercizio della sicurezza pubblica che, passo dopo passo, in modo graduale ma inesorabile, ci condurranno verso una responsabile ed ottimale gestione della sicurezza e dell’ordine, da cui non potrà  non derivare anche una ottimizzazione delle risorse in termini economici ed umani oltre che più omogenee condizioni di lavoro per tutto il personale del comparto.
Lascio quindi agli altri ospiti intervenuti l’onere di tracciare compiutamente gli scenari evolutivi del settore sicurezza, per toccare, invece, in modo più puntuale, gli aspetti legati al diritto di rappresentanza dei lavoratori in divisa, un diritto che per la componente militare del comparto sicurezza è ancora in uno stato di gestazione embrionale, perchà © l’operato del personale di polizia con le stellette subisce il disconoscimento del carattere professionale del proprio operato, essendo esso concettualmente accostato più allo svolgersi di una missione che non al compiersi di una vera e propria professione.
Certo, non può disconoscersi che chi ha scelto di servire in armi il Paese porti in sà © i valori della giustizia, della legalità  , dell’ordine, valori che appartengono a tutti noi e per i quali numerosi colleghi sono arrivati persino al sacrifico della vita.
Tuttavia, è proprio il naturale sentire questi valori che determina l’inappropriatezza del comportamento delle Istituzioni del Paese nei confronti degli operatori della sicurezza, perchà © quando un singolo si riconosce in una collettività  e ne osserva fedelmente le regole non può, quella stessa collettività  , non riconoscere all’individuo la piena appartenenza ad essa ed il consequenziale riconoscimento dei diritti che ne derivano.
E’ chiaro che il termine di paragone su taluni diritti non può essere il cittadino comune, ma è altrettanto vero che la compressione esasperata di questi, con i limiti di fatto tracciati dalle Amministrazioni in palese arretramento rispetto di quelli imposti dalla Legge, sembrano trovare una logica esclusivamente nel protezionismo dei privilegi, piuttosto che nel reale interesse della collettività  .
Lo dimostra, con innegabile semplicità  , la doppia veste del personale del comparto, suddiviso, pur nell’espletamento del medesimo servizio, in uno status civile ed uno militare.
In uno stato di diritto sono le mansioni, le peculiarità  del servizio, che determinano lo status dei lavoratori, ed in eguaglianza di mansioni è ingiustificabile il maggiore sacrificio imposto agli operatori militari. Tanto più, quando il divieto di organizzazione sindacale - per essere concreto - impone l’automatica interdizione dai diritti associativi e di libera espressione.
A fronte di questa irragionevole osticità  del legislatore ordinario, non si può non evidenziare come il personale abbia cercato di soddisfare l’esigenza di rappresentatività  dei propri interessi professionali attraverso il ricorso a tutti i sistemi istituzionalmente consentiti dalla democrazia, dalle pressanti istanze mosse al legislatore stesso, fino al ricorso alle Magistrature amministrativa e costituzionale, in cui la richiesta del riconoscimento di un diritto di rappresentanza compiuto, prodromo ad una trasparente gestione delle Amministrazioni ed al riconoscimento di condizioni paritetiche a quelle delle Forze di polizia ad ordinamento civile si è spenta di fronte al disarmonico giudizio del Giudice delle Leggi.
Di contro, si registra il rinnovato vigore di una politica conservatrice, che, spinta dalle richieste documentate degli Stati Maggiori della difesa, tende a rinnovare il cosiddetto progetto isolazionista dei cittadini con le stellette.
Senza citare tutti disegni di legge ed i provvedimenti emanati ed emanandi da questa legislatura, tra cui la norma sulla specificità  , il passaggio delle competenze penali ordinarie alle Magistrature militari per i reati dei cittadini in divisa, appare emblematico del clima conservatore che aleggia la dichiarazione d’intenti del direttore generale del personale militare che, a fronte della consistente mole di ricorsi amministrativi prodotti dal proprio personale, ha chiesto, in audizione in Parlamento, che non vengano estese o venga ridotta la capacità  di accesso ai ricorsi per il personale in divisa.
Di fronte a questo decadentismo dello stato di diritto, alla consapevolezza di aver percorso ed esaurito le vie istituzionali, ci è sempre più difficile spiegare ai nostri rappresentati, che l’unica via rimasta per ottenere dignità  di parte sociale non sia quella della netta contrapposizione.
Al riguardo, la rappresentanza della Guardia di Finanza, in nome del personale che rappresenta, si è espressa, in assise nazionale e con il favore di tutte le categorie - nessuna esclusa, sulla necessità  di separare le competenze funzionali, da quelle della rappresentanza degli interessi professionali del personale, relegando all’Amministrazione le prime e ad organismi esterni ed indipendenti da queste i secondi.
L’invito che rivolgo al Siap, ma anche agli altri sindacati delle Forze di Polizia, che ci auguriamo di vedere ancora uniti sotto un unico cartello, è di fare delle nostre ragioni una questione di comparto, perchà © la forza delle relazioni sindacali dipende anche dalla effettiva rappresentatività  dei paritetici organismi militari, sicuramente meno liberi dei sindacati e tecnicamente dipendenti dalle Amministrazioni, nonostante l’impegno profuso dai singoli e l’esperienza maturata dagli attuali rappresentanti a tutti i livelli.
Un ultimo pensiero, se mi è consentito, va a questa città  ed agli operatori che in essa operano tra mille difficoltà  . L’auspicio è che Napoli, a cui sono legato per vincolo di nascita, città  piena di contraddizioni, lacerata da mille problemi, ma ricca di tradizioni, di valori e di cultura, possa tornare finalmente a primeggiare occupando il posto che merita nel Paese ed in campo internazionale.
DANIELE TISCI
delegato Cocer Guardia di Finanza