DIRITTI ASSOCIATIVI DEI CITTADINI MILITARI, RIFLESSIONI SUGLI SCENARI A MARGINE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE (MA ORA LA PAROLA D’ORDINE è “GESTIRE LA RIFORMA”) – Antonella Manotti sul Nuovo Giornale dei Militari

sabato 14 aprile 2018

Di seguito, l’articolo pubblicato da Antonella Manotti sul Nuovo Giornale dei Militari (https://www.nuovogiornaledeimilitari.com). Titolo originale: Diritti associativi: riflessioni sugli scenari a margine della sentenza della Corte Costituzionale.

 

È ormai noto - dato il risalto mediatico - che la Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare ""nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. Resta fermo il divieto di “aderire ad altre associazioni sindacali”.

Nel comunicato diffuso dalla Consulta si legge inoltre che: " La specialità di status e di funzioni del personale militare, impone il rispetto di “restrizioni”, secondo quanto prevedono l’articolo 11 della CEDU e l’articolo 5 della Carta sociale europea. Restrizioni che, in attesa del necessario intervento del legislatore, allo stato sono le stesse previste dalla normativa dettata per gli organismi di rappresentanza disciplinati dal Codice dell’ordinamento militare".

La decisione è stata presa  a seguito dell'esame della richiesta di incostituzionalità dell’articolo 1475, sollevata dal Consiglio di Stato su ricorso presentato dalla Associazione Assodipro.

Si attende ora di conoscere nel merito le osservazioni della Corte che saranno depositate entro 60 giorni.

In base all'art. 136 della Costituzione, “la norma ritenuta illegittima, cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte. Si tratta di un effetto di annullamento puro e semplice, che cancella la norma incostituzionale dall’ordinamento giuridico.

In questo caso, però,  nell' accoglimento parziale della questione di legittimità  possiamo  individuare  una cosiddetta "sentenza monito" in cui  la Corte rivolge appunto  un “monito” al legislatore, segnalando profili di incostituzionalità, di contraddizione, di illogicità di norme legislative, la cui eliminazione spetterebbe innanzitutto al legislatore medesimo.

Ovviamente, bisognerà attendere di conoscere, nel dettaglio, le motivazioni della Consulta, che  si è espressa  in applicazione dell’art. 117, primo comma, Cost., rilevando il contrasto con le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretate dalla Corte di Strasburgo per dare effettiva tutela ad un diritto fondamentale, la cui lesione nell’ordinamento italiano sia stata accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

L'evolversi di questo tipo di  sentenze può essere diverso: può accadere che il legislatore accolga il monito e modifichi la norma censurata nel senso indicato dalla Corte; può accadere che il legislatore ampli la sfera di azione (?) o trascuri del tutto di provvedere e costringa la Corre a interventi successivi ...

 Lo scenario che si apre, quindi, è abbastanza complesso e va attentamente monitorato.

 

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In queste ore si succedono comunicati e prese di posizione; dalla comprensibile e condivisibile esultazione di chi è stato protagonista di tale processo,  chi ne ha condiviso il percorso e di chi, invece,  ( e sono in tanti)  è rimasto finora all'ombra dell'ambiguità ed oggi magari  si prende i meriti di impegni mai messi in campo, di iniziative mai viste.

 Come Giornale, da anni in prima linea in questa battaglia, non possiamo non sottolineare che a vincere, oggi, è stata l’energia espressa da un  nucleo di cittadini militari, fin dagli anni '70 e poi condotta con coerenza nel tempo, attraverso il perseguimento  dei principi Costituzionali  nelle attività associative, riempiendo i vuoti di una  democrazia mortificata da leggi sbagliate e dallo scarso coraggio di una politica, ostaggio di pregiudizi incomprensibili. Una politica che ha  delegato alla supremazia dei vertici militari il dialogo con il Parlamento, senza coinvolgere il personale militare, senza consentirne la crescita di una cultura partecipativa,  che ha prodotto nel tempo veri e propri obbrobri legislativi...

 Coloro che in questi anni hanno condiviso questa battaglia nell'ambito di un percorso che ha trovato nella CGIL  una propria identità culturale e sociale, hanno quindi  oggi il compito primario di preparare il terreno migliore per i colleghi e raggiungere il risultato da tempo perseguito.

Purtroppo sappiamo che non sarà facile, perchè  si assisterà probabilmente ad  un moltiplicarsi di iniziative disorganiche, in cui  a prevalere non sarà sempre  l'interesse collettivo dei lavoratori militari, bensì quello  personale; ci si troverà di fronte a   divisioni, tanta diffidenza, poca lungimiranza. Ma è qui che si misurerà la maturità dei soggetti in campo.

 

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La partita è ora nelle mani del  nuovo Parlamento.

Se è indubbio che, con la decisione della Consulta, viene a cadere dopo 40 anni, il divieto sancito dalla legge 382/78 (ora art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare)  nella parte in cui si cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale, è altrettanto scontato  che l'esercizio di tale diritto dovrà essere soggetto ad alcune restrizioni che spetterà al legislatore regolamentare.

Ecco perchè sarà importante leggere la sentenza e capire se la Consulta abbia indicato già i paletti entro cui il legislatore dovrà e potrà muoversi.

 Sul fronte politico l'iniziativa è tutta da "scoprire", stante i nuovi scenari aperti dal voto del 4 marzo.

 Nell'approccio con le forze parlamentari, occorrerà  presentare un progetto serio che abbia i piedi piantati bene in terra, nella consapevolezza che la nostra società sta vivendo un processo involutivo nel campo dei diritti del lavoro. Senza contare la visione  diffusa, anche tra alcune forze politiche -  di critica nei confronti  di ciò che è il sindacato e del  suo ruolo di mediazione.

Insomma, ci si avvia verso una strada per nulla  facile, in cui non mancheranno pressioni forti da chi teme di perdere potere nella gestione paternalistica  interna del personale.

 

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Da anni ormai, l’intera cultura dei diritti ha conosciuto in Italia una inquietante eclisse. Chiusure ideologiche e regressione culturale hanno determinato un divorzio tra politica e società, proprio sul terreno dei diritti.

In questi anni difficili e di silenzio della politica, spesso i giudici sono stati i “custodi dei diritti”,  assumendo un ruolo di supplenza e di attuazione della legalità costituzionale, com’è loro dovere, tenendoci anche al riparo da prevaricazioni politiche e...non solo...

Gli anni Settanta - proprio quando fu varata la cosiddetta legge di principio (la 382/78) ad esempio,  furono una straordinaria stagione dei diritti, che mutarono nel profondo la società italiana e l’organizzazione istituzionale. Sicuramente vi fu la capacità delle forze politiche di allora, di guardare alle dinamiche sociali senza pretese di subordinarle a convenienze e strumentalizzazioni (divorzio e aborto furono approvati in anni di forte potere della Dc !). Sicuramente l’esistenza di canali di comunicazione tra cultura e politica, che si alimentarono reciprocamente, produssero innovazione non di facciata, ma veri strumenti istituzionali di cambiamento.

 Un invito a riflettere - quindi -  per tutte le forze politiche che vogliono misurarsi con la richiesta di  cambiamento che sale dalla società,  rispettandone  le spinte propulsive che si ispirano alla nostra Costituzione.  Il  ritorno, insomma,  della buona politica, che guardi alla società senza filtri ideologici e convenienze di maggioranza.

 

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Le parole d'ordine in questo momento dovranno essere: “Gestire la riforma”, ricordando quanto scrisse Franco Fedeli all'indomani della approvazione della legge di riforma della Polizia nel 1981.

Egli affermava tra l'altro, "" Dovremo tenere ben presente che nel Palazzo non sono scomparsi i “falchi neri”...Occorre una forza massiccia della base, il contributo generoso di ognuno per edificare questa nuova Polizia. Non mancheranno lusinghe, offerte sottobanco, auree promesse, tendenti a dividere il personale. Comincerà la “caccia” al poliziotto, spunteranno come funghi i “salvatori della Polizia”, “nuovi protettori” sorretti dai soliti “compari”. Ci sarà chi cavalcherà tutte le tigri del più bieco corporativismo, per mettere i poliziotti gli uni contro gli altri, per far germinare una pletora di sindacati e sindacatini a capo dei quali si porranno gerarchi e gerarchetti. Saranno in molti a speculare sulle aspirazioni frustrate, sulle attese tradite ...Cadere in questa trappola è pericoloso poiché rischia di vanificare dieci anni di lotte dei poliziotti.
La riforma potrà essere gestita solo se si sarà capaci di costituire un organo di rappresentanza efficiente ed unitario in nome del quale si è combattuto, sofferto, pagato. Diffidare quindi degli eroi dell’ultima ora, dei falsi “puri” che si ammantano di una falsa autonomia per nascondere equivoche strumentalizzazioni. C’è una sola collocazione per i poliziotti ed essa è all’interno del grande movimento dei lavoratori, al fianco della stragrande maggioranza dei cittadini democratici.... (Nuova Polizia e Riforma dello Stato - N. di febbraio 1981)

 

 


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